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Un esercizio sulle proprietà colligative

Federica ha scritto:

Salve, avrei bisogno di aiuto su questo esercizio. La ringrazio.

Una soluzione acquosa di idrossido di sodio (d = 1,075 g/mL), ha una tensione di vapore pari a 16,37 Torr, a 20 °C. La tensione di vapore dell’acqua nelle stesse condizioni vale 17,48 Torr. A 100 mL di tale soluzione si aggiungono 100 mL di una soluzione acquosa di H2SO4 1,762 M. Calcolare la pressione osmotica risultante a 20 °C. (PM NaOH = 40,0 g/mol; PM H2O = 18,0 g/mol)

Ecco l’aiuto:

Dal momento che disponiamo delle tensioni di vapore della soluzione (Psoluzione) e del solvente puro (Psolvente), utilizzando la legge di Raoult, possiamo ricavare la frazione molare del soluto:

(PsolventePsoluzione)/Psolvente = Csoluto

Csoluto = (17,48 – 16,37) Torr / 17,48 Torr = 0,06350

Per calcolare le moli di idrossido di sodio e di acqua presenti in soluzione, utilizziamo dapprima la densità per ricavare la massa di soluzione corrispondente a 100 mL:

msoluzione = d · V = 1,075 g/mL · 100 mL = 107,5 g

Ora possiamo impostare un sistema con due incognite:

a.       Csoluto = n NaOH / (n NaOHn H2O) = 0,06350

b.      msoluzione = n NaOH · 40,0 g/mol  +  n H2O · 18,0 g/mol = 107,5

risolvendo il quale ricaviamo:

n NaOH = 0,3519 mol        n H2O = 5,190 mol

A questo punto possiamo calcolare il numero di moli di acido solforico contenute in 100 mL di soluzione 1,762 M:

n H2SO4 = 1,762 mol/L · 0,100 L = 0,1762 mol

Dopo la miscelazione delle due soluzioni, all’interno del contenitore saranno presenti i seguenti ioni nelle rispettive quantità in moli:

n Na+ = 0,3519 mol

n OH- = 0,3519 mol

n H+ = (0,1762 · 2) mol = 0,3524

n (SO4)2- = 0,1762 mol

ma dal momento che gli ioni H+ e gli ioni OH- si neutralizzano formando molecole di H2O, la situazione in soluzione sarà la presente:

n Na+ = 0,3519 mol

n H+ = (0,3524 – 0,3519) mol = 0,0005 mol

n (SO4)2- = 0,1762 mol

Calcoliamo la molarità della soluzione, come somma del numero di moli di ioni residui, sul volume totale di soluzione; la pressione osmotica, infatti, è una proprietà colligativa e come tale dipende dal numero complessivo di particelle e non dalla loro natura.

Msoluzione = (n H+ + n Na+ + n (SO4)2-) / Vtot = (0,0005 + 0,3519 + 0,1762) mol / 0,200 L= 2,643 M

Con questo valore possiamo ricavare la pressione osmotica della soluzione, a 293 K:

π = MRT = 2,643 mol/L · 0,0821 [L·atm/(mol · K)] · 293 K = 63,58 atm

La pressione osmotica esercitata dalla soluzione vale quindi 63,58 atm, valore che si approssima a 63,6 atm se si tiene conto del numero di cifre significative.

 


Un quesito a scelta multipla a cui rispondere

Matteo ha scritto:

Salve prof ho davanti la seguente domanda. Grazie in anticipo per la sua risposta.

Indicare l’affermazione errata tra le seguenti: 1) aumentando la temperatura di una reazione endotermica, l’equilibrio si sposta verso i prodotti. 2) aumentando la temperatura di una reazione endotermica, l’equilibrio si sposta verso i reagenti. 3) aumentando la temperatura di una reazione esotermica, l’equilibrio viene raggiunto più velocemente 4) aumentando la temperatura di una reazione endotermica, l’equilibrio viene raggiunto più velocemente.

Rispondo così:

Caro Matteo, le variazioni di temperatura influenzano sempre l’andamento di una reazione chimica e la tua domanda prende in particolare in esame due aspetti: quello termochimico e quello cinetico.

Dal punto di vista termochimico, una reazione endotermica richiede calore per avvenire; pertanto, se si aumenta la temperatura, per il principio di Le Chatelier, la reazione si sposta verso una maggiore produzione dei prodotti. Il contrario avverrebbe se la reazione fosse esotermica.

Dal punto di vista cinetico, invece, un aumento di temperatura provoca sempre un aumento della velocità di reazione (indipendentemente dal fatto che sia esotermica o endotermica), perché i reagenti sono dotati di maggiore energia cinetica e cresce il numero degli urti favorevoli.

In definitiva, la risposta errata è la 2).

Un calcolo per un tampone

Guido ha scritto:

150 mL di ammoniaca 0,17 M sono mescolati con una soluzione 0,080 M di acido solforico. Che volume occorrerà prelevare di detta soluzione affinché il pH sia 9,30? Kb = 1,8·10-5

 

Questa è la risposta:

Quando ad una base debole si aggiunge un acido forte, si produce una quantità stechiometrica di acido coniugato e si origina una soluzione tampone.

Quindi, utilizzando l’equazione di Henderson Hasselbach, possiamo ricavare il rapporto tra le concentrazioni di base debole e del suo acido coniugato:

pOH = pKb + log ([NH4+] / [NH3])

(14 – 9,3) = -log 1,8·10-5 + log ([NH4+] / [NH3])

-0,045 = log ([NH4+] / [NH3])

[NH4+] / [NH3] = 10-0,045 = 0,902

Tale rapporto si può anche intendere come rapporto tra le quantità in moli, dal momento che il volume relativo alle due concentrazioni di base e acido coniugati è il medesimo. Mettendo a sistema tale rapporto con l’equazione che considera che la somma delle moli di ammoniaca e di ione ammonio deve essere uguale al valore iniziale delle moli di ammoniaca, possiamo scrivere:

  1. n NH4+ / n NH3 = 0,902
  2. n NH4+ + n NH3 = n NH3(iniziale)

Il numero iniziale di moli di ammoniaca si ricava nel seguente modo:

n NH3(iniziale) = 0,17 mol/L · 0,150 L = 0,0255 mol

Utilizzando tale valore nel sistema precedentemente impostato e risolvendo si ottiene:

n NH3 = 0,0134 mol

n NH4+ = 0,0121 mol

che corrispondono alle moli finali presenti in soluzione.

Ora è necessario percorrere il ragionamento al contrario; considerando il seguente equilibrio:

NH3 + H3O+ = NH4+ + H2O

si avranno i seguenti valori finali:

n NH3 = 0,0134 mol

n H3O+ = 0 mol

n NH4+ = 0,0121 mol

da cui possiamo ricavare i valori iniziali:

n NH3 = (0,0134 + 0,0121) mol = 0,0255 mol (dato già conosciuto!)

n H3O+ = (0 + 0,0121) mol = 0,0121 mol

n NH4+ = 0 mol

Per calcolare il volume di soluzione di acido solforico 0,080 M necessario, occorre ricordare che le moli di ioni idrogeno devono essere dimezzate, perché ogni mole di H2SO4 libera due moli di ioni idrogeno:

n H2SO4 = (0,0121 mol/2) = 0,0061 mol

V = n H2SO4 / M = 0,0061 mol / (0,08 mol/L) = 0,0762 L = 76,2 mL

Il volume di acido solforico 0,080 M, espresso con il corretto numero di cifre significative, necessario perché la soluzione abbia pH 9,3 è di 76 mL.

Una tesina sul caos

Salvatore ha scritto:

Salve, vorrei un aiuto per la mia tesina gentilmente…. L’argomento principale è il caos e non riesco a collegare né chimica né biologia; non è che potrebbe aiutarmi? Grazie.

 

Ecco l’aiuto:

Caro Salvatore, il collegamento più lineare che mi viene in mente, rispetto ai vostri programmi di quinta superiore che, appunto, collegano la Chimica e la Biologia, è il caso delle reazioni oscillanti.

Per reazione oscillante si intende una reazione chimica nella quale le concentrazioni di reagenti e prodotti variano periodicamente, in modo non sistematico né periodico. Tale comportamento viene pertanto denominato caotico.

Tali reazioni sono molto diffuse in ambito biochimico: assumono un ruolo essenziale per la vita, regolando gli impulsi elettrici, anche legati alla ritmicità del battito cardiaco, per esempio.

Molte reazioni biochimiche sono di tipo oscillante, come quelle caratterizzate dall’azione competitiva da parte degli enzimi, la glicolisi e la respirazione cellulare.

Tutti argomenti che credo siano parte integrante del tuo programma d’Esame.

Buon lavoro e in bocca al lupo!

Un esercizio semplice

Daniel ha scritto:

Buonasera professoressa, le scrivo per la risoluzione di un esercizio. La ringrazio per la cortese attenzione, distinti saluti.

Calcolare il volume di O2 a 25 °C e P = 1 atm richiesto per bruciare 1 mole di CS2 secondo la reazione:

CS2 + 3 O2    CO2 + 2 SO2

Calcolare inoltre la percentuale peso/peso (%p/p).

La risoluzione è questa:

Caro Daniel, la reazione che mi sottoponi è già bilanciata e pertanto possiamo procedere con i calcoli stechiometrici successivi: per fare reagire in modo quantitativo una mole di solfuro di carbonio, occorrono tre moli di ossigeno molecolare.

A questo punto, possiamo applicare la legge dei gas perfetti per ricavare il volume di ossigeno, a 298 K di temperatura:

V = nRT/P = 3 mol · 0,0821 L·atm /(mol·K) · 298K / 1 atm = 73,4 L

Per calcolare la percentuale peso su peso, invece occorre calcolare le masse di solfuro di carbonio e di ossigeno molecolare, corrispondenti alle moli:

mCS2 = n · MM = 1 mol · 76,15 g/mol = 76,15 g

mO2 = n · MM = 3 mol · 32,00 g/mol = 96,00 g

Calcoliamo ora la %p/p come rapporto tra la massa di ossigeno molecolare e la somma delle masse di reagenti presenti:

%p/p = mO2 / (mCS2 + mO2) · 100 = 96,00 g / (76,15 + 96,00) g · 100 = 55,8% p/p

Quindi, per bruciare una mole di solfuro di carbonio sono necessari 73,4 L di ossigeno molecolare, nelle condizioni date, la cui massa costituisce il 55,8% della massa totale dei reagenti.

Consigli per la tesina

Marco ha scritto:

Salve, per la tesina di maturità sull’incognita, e l’importanza di essa nella vita e nel mondo di oggi, mi manca l’ultimo collegamento, Scienze. Mi potrebbe dire di quale argomento potrei trattare? Di fisica porto il principio di indeterminazione e le sue conseguenze.

Ecco l’aiuto:

Caro Marco, se già ti colleghi con il principio di indeterminazione di Heisenberg, io non forzerei la mano e parlerei di come abbia rivoluzionato il concetto di modello atomico, definendo gli orbitali atomici.

Per disporre poi di un collegamento al programma di Scienze di quinta, potresti parlare delle ibridazioni, combinazioni di orbitali atomici con cui giustifichiamo, per esempio,  le innumerevoli proprietà dell’atomo di carbonio che hai avuto modo di studiare e approfondire nel corrente anno scolastico.

Buon lavoro e buona fortuna per il tuo Esame!

Ancora tesine…

Claudia ha scritto:

Salve professoressa, ho deciso di presentare il mio percorso d’esame sul concetto di vuoto. Le accenno brevemente i collegamenti:

Fisica: l’evoluzione del vuoto, soffermandomi principalmente sul problema dell’etere e il vuoto quantistico;

Filosofia: Sartre e la filosofia del nulla;

Italiano: il vuoto cosmico di Pascoli Latino:

Lucrezio e il concetto di vuoto nel De Rerum Natura;

Inglese: Waiting for Godot e il vuoto esistenziale.

Il mio problema riguarda il collegamento di scienze. Ho diverse idee ma nessuna di queste mi sembra abbastanza solida. Avevo pensato di parlare delle teorie atomiche, collegandomi a fisica o latino, oppure partire dalla ‘teoria della terra cava’ per passare poi alla costituzione della terra (e quindi il contrario di vuoto). O in alternativa ho pensato di parlare delle rocce magmatiche derivanti da lava fluida che, solidificando, sono all’interno cave.

Può darmi qualche consiglio e risolvere questo mio problema? Grazie in anticipo

Rispondo così:

Cara Claudia, la tua tesina mi pare già interessante e ben articolata. Non è del tutto necessario trovare obbligatoriamente collegamenti in tutte le materie, soprattutto quando questi paiono del tutto forzati.

In tutta sincerità, nessuna delle cose che hai proposto mi convince… volendo potresti raccontare l’esperimento di Rutherford che nel 1911 lo portò a concludere l’esistenza del nucleo piccolo e compatto al centro di un atomo, costituito per la maggior parte da spazio vuoto. Ma se questo collegamento ti porta fuori strada, sentiti libera di non coinvolgere Scienze nella tua tesina d’Esame!

Buon lavoro e in bocca al lupo!

Un problema sulla solubilità

Nicolò ha scritto:

Salve professoressa, volevo chiederle i passaggi con cui si risolve un problema di questo tipo.

Si mescolano 100 mL di NaBr 0,120 M con 200 mL di NaI 0,140 M e con 300 mL di AgNO3 0,100 M. Calcolare le concentrazioni di tutte le specie ioniche nella soluzione così ottenuta dopo che si è stabilito l’equilibrio. Kps AgBr = 5,0·10-13 Kps AgI = 1,5·10-16

Risposta: [Br] = 0,017     [Ag+] = 2,94·10-11     [I] = 5,1·10-6

Rispondo così:

Caro Nicolò, inizierei calcolando le nuove concentrazioni dei sali in soluzione, dopo miscelazione, considerando il volume totale di 600 mL:

[NaBr] = 0,120 mol/L · 0,100 L / 0,600 L = 0,0200 M

[NaI] = 0,140 mol/L · 0,200 L / 0,600 L = 0,0467 M

[AgNO3] = 0,100 mol/L · 0,300 L / 0,600 L = 0,0500 M

Innanzitutto possiamo già esprimere le concentrazioni di ioni sodio e di ioni nitrato residue in soluzione, dal momento che non partecipano agli equilibri di solubilità:

[Na+] = (0,0200 + 0,0467) M = 0,0667 M

[NO3] = 0,0500 M

A questo punto, calcoliamo la concentrazione molare di ioni argento necessaria affinché precipitino il bromuro di argento e lo ioduro di argento, utilizzando i valori di Kps di ciascun sale:

[Ag+]AgBr = Kps / [Br] = 5,0·10-13 / 0,0200 = 2,5·10-11 M

[Ag+]AgI = Kps / [I] = 1,5·10-16 / 0,0467 = 3,2·10-15 M

Dal momento che

  • Kps AgI << Kps AgBr
  • [I] > [Br]
  • [Ag+]AgI << [Ag+]AgBr

possiamo affermare con certezza che precipita prima lo ioduro di argento AgI e che la precipitazione dei due sali avviene in modo separato, dal momento che intercorrono parecchi ordini di grandezza, sia tra i valori delle costanti, sia tra quelli di concentrazione di ioni argento necessari per la precipitazione di ciascun sale.

Consideriamo quindi che dapprima precipiti tutto AgI, consumando 0,0467 M di ioni ioduro e di ioni argento e  lasciando come residuo in soluzione le seguenti concentrazioni:

[I] residua ≈ 0 M

[Ag+] residua = (0,0500 – 0,0467) M = 0,0033 M

Successivamente, precipita il bromuro di argento, consumando 0,00330 M di ioni argento e di ioni bromuro e lasciando come residuo le seguenti concentrazioni in soluzione:

[Ag+] residua ≈ 0 M

[Br] residua = (0,0200 – 0,00330) M = 0,017 M

A questo punto, per calcolare le concentrazioni residue in soluzione, possiamo impostare un sistema con le due relazioni delle costanti prodotto di solubilità, indicando con [Ag+] la concentrazione di ioni argento in soluzione, comune ai due equilibri di solubilità, simultaneamente presenti in soluzione:

 

  1. Kps AgBr = [Ag+] [Br]
  2. Kps AgI = [Ag+] [I]Sostituendo i valori numerici
  1. 5,0·10-13 = [Ag+] · 0,017
  2. 1,5·10-16  = [Ag+] [I]Risolvendo il sistema, si ricavano i seguenti valori:

    [Ag+] = 2,9·10-11 M 

    [Br] = 0,017 M

    [I] = 5,1·10-6 M 

    già espressi con il corretto numero di cifre significative.

    Ti ricordo che in soluzione sono presenti anche gli ioni sodio e nitrato che abbiamo già calcolato all’inizio del problema.


Una domanda sull’inchiostro simpatico

Onofrio Luca ha scritto:

Buongiorno, vorrei capire qualcosa di più sulla reazione che è alla base dell’inchiostro simpatico (quello ottenuto scrivendo con il succo di limone e poi passando una fiammella sotto al foglio per far comparire la scritta). Da quel che ho letto dovrebbe essere una reazione di imbrunimento del glucosio contenuto nella cellulosa della carta, è giusto?

Grazie in anticipo per la risposta.

 

Questa è la risposta:

Con inchiostro simpatico si intende un liquido trasparente con cui è possibile tracciare un messaggio invisibile su carta, che sarà reso visibile in seguito ad un trattamento specifico.

Esistono numerosi reattivi in laboratorio, con cui è possibile ottenere inchiostri simpatici, che in seguito a trattamento mostrino colori differenti, ma queste sostanze spesso non sono alla portata di tutti e sopratutto non sarebbero adeguate a giochi tra bambini… mentre il succo di limone si presta molto bene ad essere utilizzato per inchiostri invisibili a scopo ludico-casalingo!

Dopo aver spremuto un limone, si scrive su un foglio di carta intingendo un pennello nel succo e si lascia asciugare il foglio. Successivamente, avvicinando il foglio ad una fonte di calore (lampadina o fiammella), appare quanto precedentemente scritto, di colore marrone.

La reazione alla base di questa curiosa esperienza è la caramellizzazione degli zuccheri presenti nel succo di limone. Infatti la stessa attività è possibile utilizzando del latte oppure semplicemente acqua zuccherata.

La caramellizzazione è una reazione di degradazione termica che comporta l’ossidazione degli zuccheri, generando come prodotti sostanze volatili e composti dal colore bruno. Tale processo deriva dalla successione di sei stadi reattivi:

  • enolizzazione
  • disidratazione
  • rottura dei legami dicarbossilici
  • reazione retro-aldolica
  • condensazione
  • reazione radicalica di propagazione

La caramellizzazione avviene in presenza di zuccheri semplici, in particolare il fruttosio (principale zucchero presente nel limone!), ma anche a partire da disaccaridi quali il saccarosio (comune zucchero da cucina), previa idrolisi che lo trasformi nei due monosaccaridi che lo compongono, glucosio e fruttosio.

Il processo di caramellizzazione è catalizzato dalla presenza di sostanze acide o basiche, per questo il succo di limone è il reattivo ideale!

Una precisazione: la carbonizzazione è un processo termochimico che trasforma le molecole dei prodotti legnosi o cellulosici in carboni, mediante perdita di idrogeno e ossigeno, con conseguente arricchimento in carbonio. La carta è composta da cellulosa ed esponendola ad una fonte di calore, se ne provoca la carbonizzazione. Ma il colore bruno riguarderebbe l’intera zona sottoposta a calore e non solo la scritta effettuata utilizzando il succo di limone.

Direi che possiamo ritenere che siano presenti entrambe le reazioni, di caramellizzazione del succo di limone e di carbonizzazione della carta, ma siccome la prima è cineticamente più veloce e richiede temperature inferiori, l’esperimento si conclude prima che il foglio di carta subisca carbonizzazione e prenda eventualmente fuoco!

Un problema di solubilità

Claudia ha scritto:

Buonasera professoressa, le scrivo perché non riesco a risolvere questo problema sulla solubilità, spero tanto che mi risponda.

La solubilità in acqua dell’ossalato di calcio (CaC2O4, MM = 128,09 g/mol) è 6,53·10-3 g/L a 25 °C: I)  Calcolare il valore del prodotto di solubilità Kps a 25 °C;

II) Calcolare la solubilità in una soluzione 5,00·10-4 M di ione ossalato (C2O4)2-

Ho cercato su internet problemi simili, ma ho notato che alcuni prima di calcolare il Kps dividono la Solubilità /Massa Molare, alcuni no. Non ho capito bene il perché. Invece il secondo punto non sono riuscita a risolverlo.

Grazie mille.

Ecco l’aiuto:

Cara Claudia, la solubilità che ti è fornita dal problema è espressa in g/L, mentre il valore della costante prodotto di solubilità si calcola effettuando il prodotto delle concentrazioni molari degli ioni presenti in soluzione. Pertanto, dapprima convertiamo il valore dato, in solubilità molare, dividendolo appunto per la massa molare:

s = (6,53·10-3 g/L) / (128,09 g/mol) = 5,10 ·10-5 mol/L

Scriviamo ora l’equilibrio di solubilità dell’ossalato di calcio

CaC2O4(s) = Ca2+(aq)   +  C2O42-(aq)

Esplicitando l’espressione del Kps e sostituendo alle concentrazioni molari degli ioni il valore di solubilità molare calcolato, si ricava il valore della costante:

Kps = [Ca2+] [C2O42-] = s2 = (5,10 ·10-5)2 = 2,60 ·10-9

pertanto, a 25 °C, il Kps dell’ossalato di calcio vale 2,60 ·10-9.

Il secondo quesito, riguarda invece la presenza dello ione comune che va ad influenzare l’equilibrio di solubilità, alterando le concentrazioni degli ioni presenti in soluzione. Indichiamo con s la solubilità molare dello ione calcio e con (5,00·10-4 + s) la concentrazione molare dello ione ossalato

[Ca2+] = s         [C2O42-] = (5,00 ·10-4 + s)

e sostituiamo tali valori all’interno del Kps, per determinare la solubilità molare:

Kps = [Ca2+] [C2O42-] = s∙ (5,00 ·10-4 + s) = 2,60 ·10-9

Ti consiglio di NON trascurare il valore di s all’interno della parentesi, perché la concentrazione di ione ossalato in soluzione è molto bassa e il valore che otterrai sarà del tutto paragonabile al valore dato e, pertanto, non trascurabile!

Risolvendo l’equazione di secondo grado, si ricava s = 5,00 ·10-6 M.

Dal momento che il problema non precisa se la solubilità sia da calcolare in concentrazione molare o in grammi al litro, calcoliamo anche quest’ultima, moltiplicando il valore di s per la massa molare:

s = (5,00 ·10-6 mol/L) ∙ (128,09 g/mol) = 6,40 ·10-4 g/L

In definitiva, in presenza di una concentrazione di ione ossalato pari a 5,00 ·10-4 M, la solubilità dell’ossalato di calcio vale 5,00 ·10-6 M, che corrisponde a 6,40 ·10-4 g/L.

Spero di aver chiarito tutti i tuoi dubbi!

Titolazione redox di una soluzione di ossalato

Laura ha scritto:

Quesito: organizzare un’esperienza di titolazione di una ossidoriduzione utilizzando un volume massimo di 10 mL di ossalato di ammonio che funge da riducente a concentrazione incognita ed una soluzione 0,1 N di permanganato di potassio ossidante. La titolazione avviene in ambiente acido con aggiunta di 5 mL di acido solforico alla soluzione di ossalato di ammonio e richiede un iniziale riscaldamento prima di avviare la titolazione (40-60°C). Qual è la reazione? Una volta individuata, scriverla in forma bilanciata.

Ecco l’aiuto:

L’esperienza che devi organizzare rientra nel capitolo delle titolazioni redox e più precisamente nella  determinazione permanganometrica dell’ossalato, tecnica analitica che consente di determinare la concentrazione di ossalato utilizzando una soluzione standardizzata di permanganato di potassio, in ambiente acido. Questa è la semireazione di riduzione del permanganato in presenza di un acido:

MnO4 + 8 H+ + 5 e → Mn2+ + 4 H2O  

L’utilizzo del permanganato di potassio è diffuso nelle titolazioni ossidimetriche perché non necessita di indicatori, in quanto il permanganato violetto si trasforma nello ione manganese(II) che è incolore, evidenziando il punto di viraggio.

Lo ione ossalato, che deriva dalla dissociazione dell’ossalato di ammonio (NH4)2C2O4, invece va incontro ad ossidazione, trasformandosi in anidride carbonica, secondo la seguente semireazione di ossidazione:

C2O42-  →  2 CO2 + 2 e

Dopo aver uguagliato gli elettroni delle due semireazioni, moltiplicando la prima per 2 e la seconda per 5, le sommiamo semplificando gli elettroni da ambo i membri e otteniamo la reazione complessiva che sta alla base di questa tecnica analitica:

5 C2O42- + 2 MnO4 + 16 H+ → 2 Mn2+ + 10 CO2 + 8 H2O

Buon lavoro!

Due modi diversi di calcolare il pH

Giuseppina ha scritto:

Il mio quesito riguarda lo svolgimento dei seguenti due esercizi.

1) Si calcoli il pH di una soluzione ottenuta per mescolamento di 250 mL di acido acetico 0,32 M con 450 mL di idrossido di sodio 0,13 M (Ka = 1,8·10-5).

2) Si calcoli il pH di una soluzione acquosa ottenuta per mescolamento di 250 mL di acido fluoridrico 0,36 M con 420 mL di idrossido di potassio 0,12 M (Ka = 1,7·10-5).

Nello svolgimento di questi esercizi il secondo lo svolge utilizzando le soluzioni tampone mentre il primo no. Mi chiedevo come mai questa differenza trattandosi in entrambi i casi di acidi deboli che reagiscono con basi forti.

Rispondo così:

Cara Giuseppina, in effetti entrambi i problemi ripropongono la stessa situazione, presentando anche circa le stesse quantità e concentrazioni, oltre ad un valore molto simile di costante di dissociazione acida. Pertanto, possono essere risolti nello stesso identico modo, applicando l’equazione di Henderson-Hasselbach.

Suppongo pertanto che l’insegnante abbia voluto mostrarvi un metodo alternativo per risolverlo, che è quello di utilizzare le relazioni caratteristiche dell’equilibrio chimico, inserendo i dati all’interno dell’espressione della Ka, senza passare attraverso l’equazione citata precedentemente e utilizzata per i tamponi. Attenzione però che l’equazione di Henderson-Hasselbach deriva esattamente da un rimaneggiamento matematico dell’espressione della Ka, che si ottiene effettuando i logaritmi in base 10 di ambo i membri!

Provo ad esplicitarti quanto detto.

 RISOLUZIONE PROBLEMA 1)

Calcoliamo le nuove concentrazioni di acido acetico e di idrossido di sodio, dopo miscelazione delle due soluzioni, con un volume finale di 700 mL:

[CH3COOH] = 0,32 mol/L ∙ 0,250 L / 0,700 L = 0,11 M

[NaOH] = 0,13 mol/L ∙ 0,450 L / 0,700 L = 0,084 M

Secondo la seguente reazione:

CH3COOH + OH→ CH3COO–  + H2O

si produce una quantità di ione acetato, pari alla quantità di idrossido di sodio presente in soluzione, che costituisce il reagente limitante:

[CH3COOH] = (0,11 – 0,084) M = 0,026 M

[CH3COO] = 0,084 M

Scriviamo ora l’equilibrio di ionizzazione dell’acido acetico restante

CH3COOH + H2O = CH3COO–  + H3O+

e scriviamo le concentrazioni all’equilibrio delle varie specie tenendo presente che in soluzione c’è già una concentrazione di ioni acetato pari a 0,084 M:

[CH3COO] = (0,084 + x) M

[CH3COOH] = (0,026 – x) M

[H3O+] = x M

Sostituendo nella Ka ed effettuando i calcoli

Ka = [CH3COO] [H3O+] / [CH3COOH]

1,8 ∙ 10-5 = (0,084 + x) x / (0,026 – x)

si ottiene x = 5,6∙10-6 M, con cui calcoliamo il valore di

pH = -log 5,6∙10-6 = 5,25.

La soluzione ha pH pari a 5,25, stesso identico valore che avresti ottenuto trattandola da soluzione tampone, applicando l’equazione di Henderson-Hasselbach e risparmiando numerosi calcoli!

 RISOLUZIONE PROBLEMA 2)

Calcoliamo le nuove concentrazioni di acido fluoridrico e di idrossido di potassio con un volume finale di 670 mL:

[HF] = 0,36 mol/L ∙ 0,250 L / 0,670 L = 0,13 M

[KOH] = 0,12 mol/L ∙ 0,420 L / 0,670 L = 0,075 M

Secondo la seguente reazione:

HF + OH→ F–  + H2O

si produce una quantità di ione fluoruro, pari alla quantità di idrossido di potassio presente in soluzione, che costituisce il reagente limitante:

[HF] = (0,13 – 0,075) M = 0,055 M

[F] = 0,075 M

Inserendo questi valori nell’equazione di Henderson Hasselbach, in un solo passaggio calcoliamo il pH della soluzione, che vale 4,90

pH = pKa + log ([sale]/[acido]) = -log (1,7∙10-5) + log (0,075 / 0,055) = 4,90.

Capisci quanto conoscere e ricordare l’equazione di Henderson-Hasselbach possa essere utile e come rappresenti una concreta scorciatoia nella risoluzioni di questi problemi?!

Forse era questo l’obiettivo del tuo insegnante!

 

Un esercizio di elettrochimica

Uno studente sconosciuto ha scritto:

Buongiorno Professoressa, potrebbe gentilmente aiutarmi a capire questo esercizio? In particolare é la seconda parte che non riesco a svolgere. Grazie.

Determinare la fem della pila Ni / NiCl2 (0,15 M) 800 mL // AgNO3 (0,50 M) 800 mL / Ag e la variazione della massa degli elettrodi (con segno) dopo che la pila ha erogato corrente e la f.e.m. si è ridotta di 0,05 V.

 

Ecco l’aiuto:

Iniziamo analizzando la cella galvanica in esame:

all’anodo, negativo, avviene l’ossidazione del nichel, secondo la seguente semireazione:

Ni → Ni2+ + 2e

al catodo, positivo, si verifica la riduzione dell’argento, con la seguente semireazione:

Ag+ + e → Ag

Per ottenere la reazione che avviene all’interno della pila, dobbiamo sommare le due semireazioni, dopo aver moltiplicato per due quella dell’argento, al fine di uguagliare gli elettroni scambiati:

Ni + 2 Ag+ → Ni2+ + 2 Ag

Per determinare la fem della pila, occorre conoscere i potenziali standard di riduzione delle specie coinvolte

E° (Ni2+/Ni) = -0,25 V

E° (Ag+/Ag) = 0,80 V

e applicare l’equazione di Nernst, ipotizzando di essere a 25 °C:

E = E° + (0,591/n) log ([ox]/[rid])

Calcoliamo i potenziali ai due elettrodi:

Ecatodo = 0,80 + (0,0591/1) log (0,50) = 0,78 V

Eanodo = -0,25 + (0,0591/2) log (0,15) = -0,27 V

per calcolare il potenziale di cella:

E1 = EcatodoEanodo = [0,78 – (-0,27)] V = 1,05 V

Pertanto, la fem della pila in questione corrisponde a 1,05 V.

 

Affrontiamo ora la seconda parte del problema: se la f.e.m. si è ridotta di 0,05 V, la cella elettrochimica ha una f.e.m. residua pari a

E2 = (1,05 – 0,05) V = 1,00 V

Sostituiamo tale valore all’interno dell’equazione di Nernst generale della pila in questione:

E2 = ΔE° + (0,0591/2) log ([Ag+]22/[Ni2+]2)

1,00 = [0,80 – (-0,25) + (0,0591/2) log ([Ag+]22 / [Ni2+]2]

log ([Ag+]22/[Ni2+]2) = -1,69

[Ag+]22/[Ni2+]2 = 10-1,69 = 0,0204

Ora, riprendiamo la reazione della cella galvanica

Ni + 2 Ag+ → Ni2+ + 2 Ag

e consideriamo

[Ag+]1 = 0,50 M                         [Ni2+]1 = 0,15 M

[Ag+]2 = (0,5 – 2x) M                  [Ni2+]2 = (0,15 + x) M

Ti invito a riflettere sul fatto che l’argento si deposita all’elettrodo, pertanto la concentrazione di Ag+ diminuisce, secondo la stechiometria della reazione, di una quantità pari a 2x. Nello stesso tempo, l’elettrodo di nichel si consuma e la concentrazione di Ni2+ aumenta di una quantità x.

Poniamo quindi:

[Ag+]22/[Ni2+]2 = 0,0204 = (0,5 – 2x)2 / (0,15 + x)

Risolvendo si trovano i seguenti risultati:

x1 = 0,208 M e x2 = 0,298 M

Il valore di x2 non è accettabile, perchè porterebbe ad una concentrazione finale di ioni argento negativa!

Calcoliamo ora la massa di argento depositata al catodo, partendo dalla variazione di concentrazione degli ioni Ag+, che è pari a 2x, cioè a 0,416 M

nAg+0,416 mol/L ∙ 0,800 L = 0,333 mol

mAg+ = nAg+ ∙MMAg+ = 0,333 mol ∙107,9 g/mol = 35,9 g

e la massa di nichel passata in soluzione dall’anodo, partendo dalla variazione di concentrazione dei suoi ioni, pari a x, cioè a 0,208 M

nNi2+0,208 mol/L ∙ 0,800 L = 0,166 mol

mNi2+ = nNi2+ ∙ MMNi2+ = 0,166 mol ∙ 58,69 g/mol = 9,8 g

Concludendo quindi, il catodo aumenta la propria massa di una quantità pari a +35,9 g, mentre la massa   dell’anodo diminuisce di 9,8 g.

Mi auguro che ora il ragionamento ti sia più chiaro!

Una domanda sul potere ossidante

Federico ha scritto:

Perché l’acido nitrico è più ossidante dell’acido cloridrico?

Rispondo così:

Caro Federico,

una specie chimica viene definita ossidante quando contiene un elemento che, acquistando elettroni, si riduce e provoca l’ossidazione di un’altra specie chimica ad essa associata.

Analizziamo nel dettaglio le due specie chimiche da te proposte.

L’acido nitrico, HNO3,  possiede l’azoto con numero di ossidazione +5, che corrisponde al maggior numero di ossidazione che possa presentare l’azoto. Per questo motivo quest’acido è un forte ossidante, perchè l’azoto può ridurre il proprio numero di ossidazione trasformandosi, ad esempio, in diossido di azoto NO2 dove N ha +4, in ione nitrito NO2 dove N ha +3, in monossido di azoto NO dove N ha +2, in ossido di diazoto N2O dove N ha +1, in azoto molecolare N2 dove ha 0, in ammoniaca NH3 dove ha addirittura -3!

Al contrario, l’acido cloridrico, HCl, essendo un idracido, presenta il non metallo con numero di ossidazione negativo. In questo caso, il numero di ossidazione del cloro è pari a -1 ed è il più basso stato di ossidazione possibile per il cloro; non potendo ridursi ulteriormente, non può quindi funzionare da ossidante. Se consulti la scala dei potenziali standard di riduzione, infatti, lo ione cloruro non subisce mai riduzione.

Nei casi in cui l’acido cloridrico agisce da ossidante, non è il cloro a ridursi, ma l’idrogeno ad esso legato, che passa da +1 a 0. Ma questa caratteristica non è influenzata dal cloro ed è comune anche ad altri acidi, dipendendo dall’idrogeno e non dal gruppo anionico.

Spero di esserti stata di aiuto per chiarirti le idee!

Come si prepara una soluzione 6 M di H2SO4?

Leonardo ha scritto:

Come si fa a preparare 1 L di soluzione di H2SO4 6,0 M, partendo da una soluzione di H2SO4 al 96% m/m con d =1,835 g/cm3? (MM H2SO4 = 98,078 g/mol)

Rispondo così:

Caro Leonardo ecco lo svolgimento del problema.

Analisi dei dati:

Per prima cosa analizziamo i dati del problema e riflettiamo sulla richiesta.

  • La soluzione di partenza (chiamiamola soluzione A) di acido solforico contiene 96 g di acido ogni 100 g di soluzione.
  • Viene richiesto invece di preparare una soluzione che contenga 6 moli di acido (6,0 M) in 1 litro di soluzione.
  • La concentrazione finale è richiesta in molarità mentre la prima è in massa (%m/m).

Azioni:

1- Per prima cosa occorre convertire in volume la soluzione data. E’ il valore della densità che permette questa conversione.

Calcoliamo il volume corrispondente a 100 g di soluzione A.

Si può impostare una proporzione:

100 g : x cm3 = 1,835 g : 1 cm3 da cui: x = 54,50 cm3

Oppure si può applicare la formula inversa della densità, d = m/V, da cui V = m/d.

Inseriamo i valori e le unità di misura opportune:

V = 100 g/1,835 g/cm3 = 54,50 cm3    ossia 54,50 mL

100 g di soluzione corrispondono pertanto a 54,50 cm3 ossia 54,50 mL.

2- Adesso valutiamo quale volume della soluzione A dobbiamo prelevare per soddisfare la richiesta. Dobbiamo cercare cioè quale volume di A contiene 6 moli, prelevarlo, inserirlo ipoteticamente in un matraccio tarato da un litro e aggiungere acqua fino a ottenere 1 L di soluzione.

Per prima cosa vediamo quante moli sono contenute in 100 g di soluzione A (54,50 mL).

Dato che la concentrazione è del il 96% m/m, vuol dire che ogni 100 g di soluzione ci sono 96 g di acido solforico. Per trovare le moli di acido si applica la formula n = m/MM:

n = 96 g/98,08 g/mol = 0,9798 mol di acido solforico

Queste sono le moli di acido presenti in 100 g di soluzione A, cioè in 54,50 mL.

Per ottenere il volume che ne contiene 6, come richiesto dal problema, si imposta la proporzione:

0,98 mol : 54,50 mL = 6,0 mol : x mL   da cui x = 333,7 mL

È necessario quindi prelevare 334 mL della soluzione A, inserirli in un matraccio tarato da un litro (contenente già un po’ di acqua) e poi portare a volume aggiungendo acqua sino a raggiungere la tacca segnata sul collo del matraccio.


Come si capisce che NO2 non è un perossido?

Ilaria ha scritto:

  1. Perché il bisolfuro si chiama così?
  2. Come si capisce che NO2 non è un perossido?

Rispondo così:

Cara Ilaria, rispondo alle tue domande in ordine.

1- Quale bisolfuro? In assenza del nome completo ti rispondo prendendo in considerazione le regole di nomenclatura sistematica. Il prefisso bi indica la presenza di due unità della specie a cui esso è riferito, in questo caso 2 atomi di zolfo. Per esempio, nella formula del bisolfuro di molibdeno, MoS2, che è un sale neutro dell’acido solfidrico, compaiono proprio due atomi di zolfo. In passato, invece, si utilizzava il prefisso bi per indicare un sale acido; oggi lo si trova soltanto nel nome comune di pochissimi composti, fra cui il più frequente è il bicarbonato di sodio.

2- Intanto partiamo da qualche nozione generale.

I perossidi sono classificabili in due categorie in base ai legami che li caratterizzano: perossidi covalenti (H2O2, perossido di idrogeno o acqua ossigenata) o perossidi ionici (Na2O2).

Mentre negli ossidi “normali” il numero di ossidazione dell’ossigeno è -2, nei perossidi è -1. Considerando uguale a -1 il numero di ossidazione dell’ossigeno nel diossido di azoto, quello dell’azoto risulta +2. Con questo numero di ossidazione N si lega a un solo atomo di ossigeno, formando NO, il monossido di azoto, che è un radicale, cioè una specie chimica con un elettrone spaiato. NO è quindi molto reattivo perché l’azoto ha un elettrone libero e tende a legarsi appena può, agendo da forte ossidante. Se già NO è instabile, l’ipotetico perossido lo sarebbe ancor di più!

Se invece ragioni sui legami chimici, nei perossidi i due atomi di ossigeno condividono sempre un legame covalente; l’azoto pertanto si legherebbe solo con un atomo di ossigeno. Ma l’azoto ha vari elettroni da poter condividere; quale vantaggio avrebbe l’ossigeno a legarsi col suo simile, mentre a disposizione ci sono ben 5 elettroni dell’azoto? Ammesso che all’azoto si legassero entrambi gli atomi di ossigeno, costituendo una molecola a triangolo, la tensione esistente tra i legami (l’angolo di legame sarebbe 60°!!!, ricorda che gli orbitali p sono angolati tra loro a 90°) renderebbe estremamente instabile la molecola.

Infine, i perossidi più comuni sono sostanze in cui l’ossigeno è legato ad atomi metallici, o ad atomi che hanno un basso numero di ossidazione positivo e fisso. Per esempio Na2O2, perossido di sodio, in cui il sodio ha soltanto n.o. +1, o H2O2, perossido di idrogeno in cui H ha ancora n.o. +1. Gli atomi dell’ossigeno si devono per così dire “arrangiare” a formare un legame tra loro.

In conclusione: gli ossidi dell’azoto sono ossidi, mai perossidi.

 

L’acqua è acqua!

Federico ha scritto:

In quale classe di composti va inserita l’acqua? Idruri covalenti o ossidi?

Rispondo così:

L’acqua è, secondo le regole di nomenclatura IUPAC più note, il monossido di diidrogeno; la IUPAC stessa, tuttavia, suggerisce di chiamarla semplicemente acqua oppure, adottando un diverso sistema di nomenclatura, propone di chiamarla  “ossidano”.

Il fatto che l’ossigeno sia indicato per ultimo nella formula bruta ne fa in automatico un ossido.

Nell’acqua, il numero di ossidazione  dell’ossigeno è -2 e quello dell’idrogeno è +1.

Se si trattasse di un idruro covalente di natura non acida (come CH3, NH3, SiH4 ecc.), l’idrogeno sarebbe in fondo alla formula (la formula bruta sarebbe cioè OH2) e quindi “comanderebbe” nella nomenclatura. Tieni presente comunque che anche in questo caso il nome comune, metano, ammoniaca, borano, silano, ecc. prevale su quello IUPAC.

Nel caso di idruri covalenti acidi, denominati più frequentemente idracidi, il nome è determinato dall’anione (es. HCl è cloruro di idrogeno o acido cloridrico).

Concludo confortandoti sul fatto che mai e poi mai, in alcun ambiente accademico ci si riferisce all’acqua con il nome ampolloso della IUPAC. Insomma l’acqua è acqua!

Se vuoi divertirti a proposito dell’uso del nome monossido di diidrogeno, da tempo circola sul web un famoso scherzo su questa fantomatica sostanza, spacciata per davvero temibile. Si tratta della beffa del DHMO, che mette in evidenza quanto sia diffusa l’ignoranza scientifica a qualsiasi livello.

Questo il link per saperne di più….

http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/04/01/il-killer-invisibile/

Come scrivere le formule di struttura

Chiara ha scritto:

Ho difficoltà a capire come disporre le coppie di elettroni in molecole come HClO3 o SO3, ma anche in NO3 o SO3, perché non so quando inserire i doppi legami.

Grazie

Rispondo così:

Se utilizzi la simbologia di Lewis, puoi applicare un metodo piuttosto rapido.

Il trucco è collegare prima tutti gli atomi presenti con un legame semplice, impegnando dapprima gli elettroni singoli in legami semplici, poi si aggiungeranno i doppi.

Per prima cosa disponi l’atomo centrale, quello che lega gli atomi di ossigeno.

Riporta quindi la sua corretta simbologia di Lewis (simboli elettrone-punto) e segui i passaggi suggeriti per i composti che ci proponi.

HClO3

  • Disponi intorno all’atomo centrale quelli di ossigeno sempre con i loro simboli di Lewis (sempre 6 puntini)

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chimica-clo3

  • L’atomo di idrogeno legalo subito a un atomo di ossigeno. A quest’ultimo resta un puntino (1 elettrone), collegalo all’atomo centrale di cloro.

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chimica-hclo3

  • Al cloro rimangono 3 coppie di elettroni non condivisi. Ognuno dei due atomi di ossigeno restanti ha 2 elettroni singoli. Si useranno  coppie libere sull’atomo di cloro per formare i legami dativi (o doppi) con gli atomi di ossigeno.

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chimica-hclo3-1

La formula di struttura definitiva, ripulita, e con gli angoli di legame corretti è:

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chimica-hclo3-2

 

– SO3

In questo caso l’atomo centrale è S con i suoi 6 elettroni di valenza (6 puntini)

  • Colleghiamo il primo atomo di ossigeno con 1 legame. Sia S che O presentano ciascuno ancora un elettrone libero. I due elettroni sono impiegati per formare il doppio legame S=O.
  • Gli elettroni delle due coppie non condivise sullo zolfo vengono impegnati per formare 2 legami doppi con i 2 atomi di ossigeno.

Si ottiene quindi la seguente struttura provvisoria:

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chimica-so3

La formula di struttura definitiva, ripulita e con la corretta geometria è la seguente:

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chimica-so3-1

NO3

In questo caso dobbiamo considerare che lo ione poliatomico ha un elettrone in più rispetto a quelli di valenza.

  • Disegniamo l’azoto con i suoi elettroni-punto. Possiamo per semplicità aggiungere subito l’elettrone in più come se fosse di un atomo di ossigeno (il puntio blu a destra di O nel disegno)
  • Colleghiamo tutti e tre gli atomi di ossigeno con un legame ciascuno con l’azoto.
  • Su due dei tre atomi di ossigeno posizioniamo ora i doppi legami necessari.

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chimica-no3

La formula definitiva, comprensiva della simbologia da attribuire per la carica negativa condivisa da tutto lo ione, è la seguente.

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chimica-no3-1

In realtà gli elettroni dei doppi legami sono delocalizzati su tutti e tre gli atomi di ossigeno, con il fenomeno di risonanza.

 SO3

Di nuovo si parte dallo zolfo centrale.

Dei suoi 6 elettroni, 2 serviranno per fare i 2 legami singoli e 1 doppio. Sullo zolfo resta una coppia non condivisa.

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chimica-so32

La formula definitiva con la simbologia corretta e la geometria molecolare opportuna è la seguente:

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chimica-so32-1
Ancora una volta gli elettroni dei tre legami sono delocalizzati su tutto lo ione.

Stereoisomeri e attività ottica

Armando ha scritto:

Salve Professoressa, le invio questo  messaggio in quanto  ho dei dubbi su questo  esercizio.  “Rappresentare gli stereoisomeri che si ottengono  per la monobromurazione radicalica sul C-1, sul C-2 e sul C-4 del (3R)-3-bromoesano. Stabilire le relazioni  stereochimiche  ed indicare quale prodotto  è attivo o inattivo e se la miscela  dei prodotti di reazione  mostra  attività  ottica”. Sarebbe così gentile da svolgerlo spiegandone i passaggi ? La ringrazio  anticipatamente.

Questa è la risposta:

Per comprendere come si comporteranno i vari composti bromurati citati, occorre che tu abbia bene in mente il concetto di enantiomero, diastereosomero e forma meso.

Inoltre devi avere preso confidenza con la convenzione adottata per identificare l’isomero R o S di un composto organico che presenta un centro streogeno (o chirale).

Cominciamo dal composto di partenza

(3R) 3-bromoesano

Questo ha formula di struttura mostrata in figura:

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chimica-bromoesano

Si tratta del composto R perché tra i 3 gruppi rimasti dopo avere posto dietro il piano del foglio l’atomo di idrogeno, a priorità più bassa, la rotazione per spostarsi dal gruppo a più alta priorità (Br) verso quelli progressivamente a più bassa priorità (CH2-CH2-CH3 e poi CH2-CH3) avviene in senso orario.

Ora vediamo cosa accade inserendo il Bromo in C1 poi C2 e infine C4

Bromurazione sul C-1

Il bromo viene sostituito a H per monobromurazione radicalica su un carbonio primario 1 che ha 2 atomi di idrogeno uguali. Questo esclude che C1 sia un secondo centro stereogeno, quindi il composto rimane attivo otticamente solo a causa del centro stereogeno in C3

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chimica-dibromoesano

Bromurazione sul C-2

In questo caso la bromurazione introduce un secondo centro stereogeno e si ottengono due isomeri non enantiomeri. Infatti le due molecole non sono speculari. Siamo in presenza di due diastereoisomeri.

Il potere rotatorio di ciascuno sarà indipendente, il valore assoluto sarà diverso e in direzione opposta rispetto all’altro.

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chimica-23dibromoesano
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chimica-23dibromoesano1

Infine la monobromurazione sul C-4 realizza due diastereoisomeri, di cui uno è una forma meso, cioè una struttura che presenta un piano di simmetria interno, che di per sé non ha attività ottica. La miscela dei due presenta solo l’attività ottica dovuta al diastereoisomero 3R,4S.

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chimica-34dibromoesano

Le proiezioni di Fischer

Martina ha scritto:

Buongiorno! Non riesco a capire bene le proiezioni di Fischer per gli enantiomeri. Come posso determinare, nella croce, quale sostituente andrà a destra e quale a sinistra? Inoltre, per poter determinare le proiezioni di Fischer non basta la formula di struttura, giusto?

Rispondo così:

Le proiezioni di Fischer sono convenzioni usate per rappresentare la formula di struttura di composti organici che presentano uno o più centri stereogeni.

Si tratta di rappresentazioni lineari, disposte in verticale, molto usate per rappresentare gli isomeri delle formule dei monosaccaridi, oppure degli amminoacidi.

Proviamo a costruirne una insieme prendendo come esempio il glucosio, un monosaccaride aldoesoso.

Come tutti gli aldosi, il composto di riferimento per stabilire come nominare l’isomero è la gliceraldeide.

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chmica-gliceraldeide

Nella proiezione di Fischer il gruppo aldeidico è posto in alto, ed è collegato al carbonio 1 (C1). A seguire, verso il basso, vi sono il carbonio 2 (C2) e il carbonio 3 (C3). L’unico carbonio stereogenico è C2, per cui sono possibili due isomeri.

In questa rappresentazione, il gruppo –OH legato al C2 può essere scritto o a destra o a sinistra.

Per convenzione, l’isomero D è quello che riporta a destra il gruppo -OH, mentre l’isomero L è quello che riporta a sinistra il gruppo –OH.

Come fare ad applicare adesso la proiezione al glucosio?

Immagina di staccare il C2 dal C1 e inserire uno o più atomi di carbonio intermedi, ognuno dei quali ha un –H e un –OH. Si ottengono gli aldosi superiori, tetrosi (con 4 atomi di carbonio), pentosi (5 atomi di carbonio), esosi (6 atomi di carbonio), ecc.

Per attribuire la forma D o la forma L, nonostante si aggiungano atomi di carbonio, si deve continuare a considerare quello che nella gliceraldeide è il penultimo carbonio, più lontano dal gruppo aldeidico, e più vicino all’ultimo carbonio CH2OH (quindi il carbonio che era in C2 nella gliceraldeide).

Per gli aldosi ci si rifà quindi allo stesso principio: se il carbonio stereogenico più distante dal C1 ha il gruppo –OH a destra si ha l’isomero D altrimenti sarà L. Quella che chiami “croce” nella tua domanda riguarda proprio questi due ultimi atomi di carbonio.

Non è l’isomero che sceglie la forma, ma la convenzione (umana) che permette di distinguerli in L e in D.

Quindi non è a priori, conoscendo la formula di struttura, che puoi definire l’isomero, ma solo nel momento in cui lo rappresenti secondo questa convenzione di Fischer.

Infine, ti potresti chiedere cosa accade degli altri atomi di carbonio, cioè se anche questi siano coinvolti nell’attribuire la formula all’isomero D o L. Non ti preoccupare di questi. Ogni carbonio darà luogo a isomeri con nome diverso.

Per esempio l’aldoesoso a sinistra è il D-glucosio (-OH a destra sul C*), quello a destra, che come vedi ha il C3 con –OH invertito, è il D-galattosio:

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chimica-aldoesosi

I carboni restanti che sono centri stereogenici (nel glucosio C2, C3, C4) daranno luogo ognuno a un isomero, dal nome però diverso.

Prima di concludere, una riflessione anche sul potere rotatorio, da cui discende l’attribuzione all’isomero del del segno + o -. In questo caso, esso può essere valutato soltanto sperimentalmente: un isomero D può essere destrogiro (+) o levogiro (-), i due aspetti infatti sono indipendenti. Nella proiezione di Fischer, quindi, questo aspetto non sarà considerato.

Come esempio conclusivo ti fornisco visione di tutta la sequenza di aldosi D, partendo dalla D gliceraldeide, distinti anche in base al loro potere rotatorio.

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chimica-zuccheri-28

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